giovedì 8 luglio 2010

Per la serie... Un mito al mese





VIVA LA VIDA
La forza di Frida Kahlo


Nell’aprile del 1953, un anno prima di morire all’età di quarantasette anni, Frida Kahlo ebbe la prima importante retrospettiva messicana delle sue opere pittoriche. La sua salute si era ormai talmente deteriorata che nessuno si aspettava di vederla all’inaugurazione. Ma alle otto di sera, un attimo dopo che le porte della Galleria d’arte contemporanea di Città del Messico si furono aperte al pubblico, arrivò un’ambulanza. L’artista, vestita del suo prediletto costume messicano, venne portata in barella fino al grande letto che già dal pomeriggio era stato installato nella galleria. Il letto era decorato come piaceva a lei, con fotografie del marito, il grande muralista Diego Rivera, e dei suoi eroi politici, Malenkov e Stalin. Scheletri di cartapesta pendevano dal baldacchino alla cui volta era stato fissato uno specchio che rifletteva il suo volto devastato eppure splendente di gioia. Ad uno ad uno, duecento tra amici e ammiratori andarono a congratularsi con Frida, quindi formarono un circolo intorno al suo letto e si misero a intonare con lei ballate messicane che durarono fino a notte inoltrata.
Questo è l’incipit del prologo della vita di Frida narrata da Hayden Herrera, massima esperta della vita di questa donna straordinaria. Un incipit che rappresenta il culmine e che testimonia le qualità di questa donna: il coraggio, l’alegría di fronte alla sofferenza fisica che l’accompagno per tutta la sua esistenza, la passione, la sorpresa e la specificità; un amore tutto suo per lo spettacolo come maschera con cui proteggere se stessa e la propria dignità. Terza figlia, nasce il 6 luglio del 1907. Poco dopo la madre si ammala e Frida viene allattata da una donna indigena, fatto per lei di fondamentale importanza. Tre anni dopo scoppia la rivoluzione messicana. Un giorno si odono spari e grida. Bussa alla porta della casa dei Kahlo un gruppo di ribelli affamati e stanchi che sanno di poter contare su gente amica. Frida si intrufola e li osserva seria ma senza paura, ha tre anni ma è attratta dall’evento straordinario.
Appena poco più grande dichiarerà sempre di essere nata il 7 luglio 1910, inizio della rivoluzione guidata dai leggendari Pancho Villa e ed Emiliano Zapata. Non era una civetteria: era convinta di essere realmente nata col Messico nuovo.
A sei anni si ammala di poliomenite, e da qui inizierà il calvario atroce che l’accompagnerà per tutta la vita, a cui farà seguito un brutto incidente che peggiorerà la situazione e la porterà a convivere quasi quotidianamente con il dolore. Se gli autoritratti servivano a confermare la sua presenza, i costumi davano alla donna fragile e spesso costretta a letto la sensazione di essere più magnetica e visibile. Paradossalmente, essi erano la maschera e cornice allo stesso tempo, ed erano in grado di distrarla dal dolore interno.
Frida conosceva il potere magico degli abiti come sostituti; scrisse nel diario che il costume da tehuana era il ritratto in assenza di una sola persona: il proprio io assente. Quando rideva era uno scroscio di risa profondo e contagioso; indossando questi abiti sgargianti, faceva sensazione ovunque andasse.
Nel 1929 divenne la terza moglie di Diego Rivera: che coppia incredibile! Lei piccola, impulsiva e fiera, pareva essere uscita da un romanzo di García Márquez, lui enorme e stravagante.
“In vita mia mi sono capitati due incidenti gravi – disse una volta – Il primo quando un tram mi ha messa al tappeto. L’altro incidente è Diego.”
Lo amò ossessivamente, cercando però per tutta la vita di sottrarsi al suo dominio. Che Diego fosse infedele e che la faccenda la facesse soffrire è fuori discussione, ma se Frida si disperò non mancò comunque occasione in cui disse che non le importava e che anzi era divertita.
D’altro canto Rivera amava le donne forti e indipendenti e la incoraggiò sempre e la spinse a cercare un suo stile personale. A poco a poco divenne essenziale nella vita di lui: acuta nel riconoscere i suoi bisogni, le aree di vulnerabilità e da qui seppe costruire il legame che la trattennero a lui. Lo divertì e seppe stupirlo, sempre.
Alla sua morte, il viso grasso e pieno di Diego si afflosciò e ingrigì. Nella sua autobiografia, riporta il giorno 13 luglio del 1954 come il più triste della sua vita. Nel 1955 Diego regalò la casa di Frida al popolo del Messico con tutto quello che conteneva. Oggi la casa è aperta ai visitatori e proprio qui si ha la sensazione di averla conosciuta: i suoi costumi, i gioielli, le sue bambole, le lettere, i libri, i messaggi d’amore, la sua collezione di arte popolare offrono un’immagine vivida della sua personalità. Passando molti mesi a letto, la casa era un’estensione del suo mondo. Il suo ultimo quadro è ancora appeso in soggiorno e rappresenta alcune angurie che si stagliano su un cielo azzurro brillante. Il più popolare dei frutti messicani si presenta, intero, a metà, a quarti, spaccato.
Pochi giorni prima di morire, Frida intinse il pennello in una vernice rosso sangue e scrisse il proprio nome, la data e il luogo, dove il quadro era stato eseguito.
Poi in maiuscolo tracciò il suo saluto: VIVA LA VIDA.

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