giovedì 16 settembre 2010

OMAGGIO A JIMI HENDRIX: IL GRANDE GENIO TIMIDO


“Potrei stare qui per tutta la notte a dirvi grazie, grazie, ancora grazie... vorrei potervi abbracciare tutti – diceva Hendrix alla folla adorante – ma non posso farlo. E allora quello che farò sarà sacrificare qualcosa qui che mi è molto caro. Non prendetemi per pazzo, perché non credo di aver perduto la testa... ma oggi, mi sembra l’unica cosa che posso fare... non mi viene in mente niente di meglio.” Detto questo, Jimi fece urlare la sua chitarra, e con i suoi due compagni inglesi, il bassista Noel Redding e il batterista Mitch Mitchell, si lanciò in una reinterpretazione davvero incendiaria di Wild Thing segnando a lettere di fuoco il suo nome nelle pagine della storia del rock’n’roll.
Ma per lui, che all’epoca faceva il suo debutto americano col suo trio dal nome Jimi Hendrix Experience, dopo aver conquistato in nove mesi di esilio l’Inghilterra, quello spettacolare ritorno a Monterey era già una grande ricompensa. Dare fuoco alla chitarra era il suo modo di ringraziare, un rituale teatrale ma sincero che nasceva dal suo infinito amore per il suo strumento e dalla propria straordinaria capacità di comunicare. Era un ragazzo di ventiquattro anni che aveva l’abitudine di dormire con la chitarra nel suo letto durante la sua breve esperienza nelle caserme dell’esercito, abitudine che mantenne nelle notti passate in tournèe sui pullman. Timido e schivo, aveva consacrato la vita al tentativo di dare forma ai propri sogni e alle proprie angosce attraverso la ricerca sonora e la creazione di un nuovo linguaggio chitarristico gettando le basi per le successive innovazioni nel rock nero e nel rhythm’n blues. Da gregario di tanti importanti nomi del rock a musicista che dominò la scena musicale inglese e d’oltreoceano.
Il clamore creato da Hendrix nella scena londinese non ha precedenti. Un giovane nero americano che non aveva nulla a che fare con il concetto che i britannici avevano dei cantanti soul e dei vecchi grinzosi bluesmen, e che suonava il rock’n’roll con un piglio trasgressivo e d’avanguardia divenne subito il giocattolo della stampa specializzata. Tour massacranti, febbrile attività di studio, un continuo di interviste e attività promozionali accompagnati sempre dal suo biberon pieno di metedrina. Eppure quelle frenetiche session dettero vita ai mitici singoli Hey Joe, Purple Haze, Foxy Lady e Burning Of The Midnight Lamp e tre strabilianti album.
Da Burning Of The Midnight Lamp “E improvvisamente il tempo parlerà del circo nel pozzo dei desideri e di qualcuno che comprerà e venderà per me, di qualcuno che suonerà la mia campana, e io continuerò a tenere accesa la mia vecchia lampada di sempre, da solo.”
La notorietà gli regalò la libertà sia sul palco sia in studio dove poteva perseguire a briglia sciolta la sua vena creativa. L’energia sessuale della sua musica parlava anche delle gioie della sua vita ritrovata. La confusione e la disperazione così presente nei suoi testi, la voce lacerante della sua chitarra testimoniavano non solo un dolore inconsolabile che gli derivava dall’infanzia ma anche le voglie e le paure, fisiche, emotive e musicali che lo avrebbero perseguitato per il resto della sua vita. Era spesso sconcertato dal compito di mettere sul nastro ciò che aveva in testa e nel cuore. Diceva “La maggior parte delle volte non riesco a dirlo con la chitarra, lo sai?” – raccontò in un’intervista – “Spesso me ne sto a sognare ad occhi aperti mentre ascolto tutta la musica che c’è dentro di me... Se vado a prendere la chitarra e cerco di suonarla sputtano tutto quanto... Non so suonare la chitarra così bene”.
Raccontava suo padre Al in occasione di una visita italiana per promuovere il catalogo del figlio finalmente tornato nelle mani della famiglia: “Suonava in continuazione e quando non aveva a portata di mano la sua ne imbracciava una qualsiasi, che però non andava bene perché lui era mancino e bisognava cambiare l’ordine delle corde: ma la cosa gli era indifferente, per improvvisare andava bene lo stesso. E anche quando la carriera poteva dirsi ben avviata, non smetteva mai di suonare, chino sulla sua chitarra.” Nelle numerose interviste Jimi, orfano della madre, ricorda sempre i meriti di questo padre un po’ burbero che non gli ha mai fatto mancare l’affetto, gli ha regalato la prima chitarra e gli permetteva di ascoltare la sua collezione di vecchi dischi blues unendo a ciò session volonterose con Al a sbuffare dentro un sassofono nella cucina della povera casa di Seattle.
Nelle parole di Jeff Beck è possibile capire la forza dell’impatto che ebbe la figura di Jimi: “Dopo che arrivò Hendrix non volevo fare altro che prendere le mie cose e andare a casa. La notte in cui si presentò suonando, mandò in depressione parecchia gente. Per un po’ smisi di suonare, ero devastato, mi ritirai nel mio piccolo appartamento a leccarmi le ferite.” E aggiunge “Tutti i chitarristi volevano conoscerlo per carpire qualche segreto e fummo tutti sorpresi nel conoscere una persona timida, gentile e introversa. Non alzava mai la voce sopra il sospiro, ma parlava molto con l’espressione del viso, degli occhi, con il gesticolare delle mani.” Un altro protagonista dell’epoca, Eric Clapton, ricorda: “All’epoca fu uno shock. Tutti i chitarristi della scena erano assorti nei loro percorsi molto rigorosi, chi verso il blues, chi verso la psichedelia, finché non arrivò Jimi, che suonava con i denti, con i piedi, con la chitarra dietro la testa, con numeri quasi da circo. La mia reazione fu di smettere di suonare. Nessuno di noi immaginava che sarebbe venuto qualcuno a toglierci il tappeto da sotto i piedi in una maniera così radicale.” Eppure Jimi non sapeva leggere la musica ma era in grado di suonare i classici del R&B e ogni canzone che ascoltava ad occhi chiusi. Billy Cox sentendolo la prima volta disse: “Sembra un incrocio tra Beethoven e John Lee Hooker.”
Ciò che colpisce della sua storia è che in fondo la sua è una vera e proprio rivoluzione inconsapevole. La sua musica aveva una portata destinata al futuro, non era per il suo tempo. Jimi è stato un genio della chitarra e della musica e probabilmente non se ne è mai reso conto e certo nessuno aveva interesse a farglielo capire. Ecco perché la sua è una rivoluzione inconsapevole, ecco perché la sua lezione ha vinto il tempo.
Non molto dopo lo show di Monterey, Hendrix parlò in una intervista dei suoi piani futuri: “Per cinque anni voglio scrivere sceneggiature. E dei libri. Voglio sedermi su un’isola – la mia isola – e sentire la barba che cresce. E poi potrò tornare e ricominciare tutto da capo.” Era un grande momento di sfiducia in cui si sentiva sopraffatto. Avvertiva che qualcosa di pesante si aggirava.
“Voglio solo che la gente sia felice, perché ci sono oggi troppe canzoni pesanti. La musica è diventata quasi insopportabile. Quando le cose diventano troppo pesanti, chiamatemi elio, che è il più leggero gas conosciuto...”

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