domenica 24 ottobre 2010

Salvador Dalì





La pazzia del genio eccentrico

«Ogni mattina, svegliandomi, sperimento un piacere supremo che oggi scopro per la prima volta: quello di esser Salvador Dalì, e mi domando, colmo di meraviglia, cosa farà ancora di prodigioso oggi questo Salvador Dalì. E ogni giorno mi è più difficile capire come gli altri possano vivere senza essere Gala o Salvador Dalì.»
Megalomane, provocatorio, paranoico, surrealista più di tutti gli altri che si professavano tali. Pittore macroscopico e miniaturista, scultore, designer, grafico, scenografo e scrittore autobiografico, regista, sceneggiatore cinematografico. Divo eccentrico con i suoi occhi fissi e sgranati, lo strano bastone, le mille pose bizzarre e i baffi leggendari. Dal suo Diario di un genio si scopre la loro genesi: «Quando aprii Nietzsche per la prima volta, rimasi profondamente colpito. Nero su bianco, aveva l’audacia d’affermare “Dio è morto!” Ma come! Avevo appena imparato che Dio non esiste, e adesso qualcuno mi partecipava il suo decesso! Mi si affacciavano i primi dubbi. Zarathustra mi appariva come un eroe grandioso di cui ammiravo la grandezza d’animo ma nello stesso tempo si tradiva con delle puerilità che io, Dalì, avevo già superato. Un giorno sarei stato più grande di lui! L’indomani della prima lettura di Così parlò Zarathustra avevo già la mia idea su Nietzsche. Era un debole che aveva avuto la debolezza di diventare pazzo, mentre in questo campo l’essenziale è non diventare pazzi! Queste riflessioni mi fornirono gli elementi della mia prima massima destinata a diventare il tema della mia vita: “L’unica differenza tra un pazzo e me, è che io non sono pazzo!” In tre giorni, finii di assimilare e digerire Nietzsche. Terminato questo pasto selvaggio, mi restava un solo dettaglio della personalità del filosofo, un solo osso da rodere: i suoi baffi! Più tardi Federico García Lorca, affascinato dai baffi di Hitler, doveva proclamare che i baffi sono la costante tragica del volto umano. Ma anche per i baffi mi accingevo a superare Nietzsche! I miei non sarebbero stati deprimenti, catastrofici, prostrati dalla musica wagneriana e dalla bruma. No! Sarebbero stati affilati, imperialisti, ultra-razionalisti e puntati verso il cielo come il misticismo verticale, come i sindacati verticali spagnoli».
Figlio di un rispettabile notaio ateo, da bambino vuole diventare Napoleone. A dieci anni scopre gli impressionisti, a quattordici i pompiers, a ventidue il cubismo e a ventiquattro è già Dalì convinto di esser stato chiamato Salvador perché destinato ad essere il “salvatore” della pittura minacciata di morte dall’arte astratta, dal surrealismo accademico, dal dadaismo. A venticinque anni già conquista la critica, fa affari con i galleristi e colleziona scandali. Mutande insozzate di escrementi, cavallette, lumache, labbra-vulva, leoni, formiche, orologi molli fuoriusciti da un sogno di Camembert filante, uova molli, appendici falliche, grucce, pane antropomorfico, pianoforti sodomizzati da teschi, cassetti aperti sugli stomaci. Un’estetica maniacale, superomismo onirico ed erotico che lo porta alla rottura con il gruppo surrealista.
A tal proposito nel suo Diario si legge: «Come mi ero applicato per diventare un ateo perfetto leggendo i libri di mio padre, così fui uno studioso del surrealismo tanto coscienzioso da diventare rapidamente il solo surrealista integrale. Al punto che finirono con l’espellermi dal gruppo, perché ero troppo surrealista ».
Venne cacciato dal movimento. Breton quasi disgustato lo ribattezzò Avida Dollars, anagrammando il suo nome data la sua spasmodica voglia di far soldi. Gli aneddoti degli amici attestano che spesso si dimenticava di pagare, sbagliava i calcoli spendendo cifre astronomiche per un mazzo di fiori, e ciò non per avarizia ma a causa di un rapporto inesistente tra lui e le banconote. Quasi di estraneità. Luis Buñuel ricorda: «Un giorno eravamo a Madrid con Lorca. Federico gli chiese di andare a prendere dei posti all’Apollo, dove davano un’operetta, una zarzuela. Dalì uscì e dopo mezz’ora tornò senza biglietti. Disse, sconsolato: non ci capisco niente, non so come si fa».
Era comunque deciso a divenire il più grande cortigiano della sua epoca. «E lo diventai, – scrive – e lo stesso accade per tutto quello che mi propongo di realizzare con rabbia paranoica.»
A trentanove dipinge la prima bottiglia di Coca Cola anticipando di venti anni Warhol e la Pop art, intuendo l’importanza dell’oggetto feticcio rappresentativo della società consumistica. Lo stesso dicasi per la pubblicità e la moda: il suo telefono aragosta, gli abiti con falsi seni imbottiti, le unghie finte, le scarpe con le molle, il suo cappello-scarpa che sarà un must nella moda internazionale. Le sue eccentriche performances e i suoi abiti attiravano l’attenzione della stampa. Aveva intuito avanti con i tempi che potevano diventare una risorsa per la sua arte. Per i movimenti artistici ciò era peggio di una bestemmia. Lui proseguiva imperterrito avendo la lucida consapevolezza di andare incontro a un destino non comune e applicando il suo metodo “paranoico-critico” che così descrive: «Tutti, soprattutto in America, vogliono sapere il metodo segreto del mio successo. Questo metodo esiste. Si chiama il “metodo paranoico-critico”. Da più di trent’anni l’ho inventato e lo applico con successo, benché non sappia ancora in cosa consista. Grosso modo, si tratterebbe della sistemazione più rigorosa dei fenomeni e dei materiali più deliranti, con l’intenzione di rendere tangibilmente creative le mie idee più ossessivamente pericolose. Questo metodo funziona soltanto alla condizione di possedere un dolce motore d’origine divina, un nucleo vivo, una Gala – e ce n’è soltanto una.»
Gala sua compagna, moglie, musa, da lui definita l’unica donna mitologica dei nostri tempi. Gala-Gradiva, “colei che avanza”, l’immacolata intuizione”, abile regista che riuscì sempre a far parlare del marito.
Sfilano nomi famosi nel suo percorso: Braque, Matisse, Picasso, Breton, Aragon. Èluard, Kandinsky, Cocteau, Pollock, Buñuel, Lorca.
«Dalì ha conosciuto tutti - come scrive Fausto Gianfranceschi - e su tutti esprime la sua sentenza. Ama il paradosso per il paradosso ma a una lettura più attenta si palesa la sua capacità di scorgere le relazioni segrete sotto le apparenze del mondo. Forse si prende gioco di noi quando aggiunge che dice sempre la verità ma le sue acrobazie intellettuali si svolgono con geometrica esattezza, come per lo stupefacente parallelo tra il pensiero di Freud, la pittura del Greco e le lumache di Borgogna, o per la sua scoperta delle corna di rinoceronte nei quadri di Veermer: al principio paiono giochi assurdi, ma presto, sulla punta della sua penna nervosa, tutti i conti tornano, con lucidità perfetta.»
Così i conti sembrano tornare anche con la sua fenicologia, scienza capace di insegnare a noi viventi le meravigliose possibilità che abbiamo di diventare immortali nel corso di questa medesima vita terrestre e ciò grazie alla segreta eventualità di ritrovare lo stato embrionale e di potere così realmente rinascere in perpetuo dalle nostre ceneri, come la Fenice.







Frasi tratte da: Salvador Dalì, Diario di un genio, SE, 1996, Milano

“È difficile tener desta l’attenzione del mondo per più di mezz’ora di seguito. Io sono riuscito a farlo per vent’anni e tutti i giorni. Il mio motto è stato che si parli di Dalì anche se se ne parla bene.”

“Ieri, 9 settembre, ho fatto i conti della mia genialità per vedere se essa aumenta, essendo nove l’ultimo cubo di un ipercubo.”

“Ho fatto sedere la bruttezza sulle mie ginocchia e me ne sono quasi subito stancato.”

“Dalla più tenera infanzia, ho la viziosa tendenza di considerarmi diverso dai comuni mortali.
Anche questo sta per riuscirmi.”

“La gelosia degli altri pittori è stata sempre il termometro del mio successo.”

“Ho in me l’incessante cognizione che tutto quanto sta in rapporto con la mia persona e con la mia vita è unico ed è sempre segnato da un carattere eccezionale, totale ed eccessivo. Facendo colazione, vedo salire il sole e mi accorgo che, trovandosi Port Lligat sulla punta più orientale della Spagna, io sono ogni mattina il primo spagnolo che lo vede.”


«Fra tutti i piaceri iper-sibaritici della mia vita, uno dei più acuti e sollecitanti è forse (e anche senza forse) e sarà quello di restare al sole coperto di mosche. Così potrò dire: “Lasciate che le piccole mosche vengano a me!”».

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