sabato 27 novembre 2010

Abbiamo le opere di Kafka grazie a un tradimento di un amico



Dobbiamo davvero essere grati a Max Brod del suo tradimento: l’aver disobbedito a Franz Kafka ci ha permesso di conoscere opere che altrimenti sarebbero state date alle fiamme (“... tutto quello che, scritto da me, ancora esiste, [...] preferibilmente senza essere letto, va bruciato; chiedo a te di farlo il più presto possibile”). Se Brod avesse obbedito alle richieste dell’amico continuando l’opera di distruzione che lo stesso Kafka aveva iniziato in vita, non avremmo potuto avere capolavori come Il castello, Il processo, America, i diari, le lettere e il complesso dei manoscritti raccolto nei “quaderni in ottavo”.
In una pagina dei Diari del 1913 si legge: “il mio posto di lavoro mi è insopportabile perché è in contrasto col mio unico desiderio e con la mia sola professione che è la letteratura. [...] Non sono altro che letteratura e non posso né voglio essere altro. [...] Tutto ciò che non è letteratura mi annoia e provoca il mio odio perché disturba o mi è d’inciampo...”.
La testimonianza di questo bisogno di letteratura che è stata tutta la sua vita rimane negli scritti postumi che egli avrebbe voluto fossero bruciati.
Una grave malattia che in pochi anni lo condurrà alla morte era stata colta come spia di uno stato d’essere che lo condannava alla solitudine e gli impediva l’accesso alla realtà del mondo.
Nei Diari del 1917 annota: “Tu hai la possibilità, se pure questa esiste, di incominciare. Non sprecarla. Non potrai evitare la sozzura che affiora in te, se intendi di entrare. Se la ferita ai polmoni è soltanto un simbolo, come tu affermi, [...] afferra questo simbolo.” La ferita della tubercolosi dava “giustificazione” alla sua esistenza ed era il simbolo profondo del suo impotente affanno di fronte alla scelta fra il bene e il male. Il bene era rappresentato da Felice Bauer, la donna alla quale si era legato in fidanzamento, il male personificato invece dalla sua dolorosa indisposizione al matrimonio. Scaraventato nel mondo, Kafka ha vissuto tutta la negatività rintracciando in essa lo sconforto del bene perché meta irraggiungibile. La vita per lui è stata un involucro soffocante e solo la scrittura, sua intima costrizione, è stata la sua salvezza.

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