martedì 9 novembre 2010

il capolavoro incompiuto...



... Dopo 128 anni consacrata l'opera di Gaudì

Aveva scelto l'architettura per fare arte, disegnando forme cariche di significati simbolici, convinto che dovesse andare ben oltre l'orizzonte del Liberty. Amava la natura e voleva riprodurla: "Vedete questo albero vicino al mio laboratorio? è lui il mio maestro" ma gli piaceva anche trasformarla, arricchirla, persino complicarla. E ancora farla e rifarla. Considerava la ripetizione una forma di intelligenza. Diceva: " Tutti sbagliano, ma sbaglia meno chi ripete sistematicamente. " E portava l'esempio del più grnde poeta moderno catalano, il sacerdote Jacint Verdaguer Y Santalò: "Ha delle poesie magnifiche. Riscritte sei, sette volte." Antoni Placid et Guillem Gaudì Y Cornet, figlio di un calderaio catalano, dal quale aveva ereditato l'amore per la decorazione, era nato nel 1852.
La sua infanzia fu segnata da una malattia da lui definita "reumatismo articolare" che lo tormentò per tutta la vita e lo indusse a lunghi periodi di stasi contemplativa della natura del paesaggio catalano ricco di pietre, oliveti, vinge, con il respiro del mare che tanto amava. "Se non avessi potuto fare l'architetto, la professione che mi avrebbe attratto maggiormente sarebbe stata quella del costruttore di navi".
Di umore mutevole, a volte brusco e scontante, accesamente catalanista senza però partecipare a nessun movimento politico, riusciva ad affascinare ricchi mecenati facendo vita ritirata e poverissima. Per il conte Guell realizzò il palazzo omonimo a Barcellona: forme esasperatamente decorative, un gran salone a doppia cupola con fori stellati che danno la sensazione di un cielo notturno. Per un altro cliente realizza la casa Milà, ispirandosi alle forme delle pietre e degli alberi per disegnare una scultura enorme carica di allegorie. Dentro di lui coltivava, come una presenza ossessiva, la SAGRADA FAMILIA, sognandosi l'interno con le famose colonne inclinate, come il bastone del viandante. Lo vedeva simile a un bosco. "La decorazione delle volte sarà fatta di foglie tra le quali si vedranno uccelli tipici della nostra terra." Affermava che la decorazione doveva essere policroma e basava la propria affermazione sull'esempio della natura, che in nessuno dei suoi regni cade nella monotonia del colore; perciò aggiungeva: "dobbiamo rendere policromo l'elemento architettonico. Il colore è un segno di vita, il popolo non si inganna.
Contrariamente all'immagine stereotipata di molte biografie, non è stato un genio incompreso, né tantomeno un isolato. Al contrario, un esponente straordinario del proprio tempo, cui ha saputo dare un'impronta inconfondibile.
Uomo del suo tempo si avvale di tutte le risorse della scienza meccanica e dell'industria servendosene con grande senso pratico; Gaudì usa in modo così opportuno i materiali e gli elementi architettonici che, senza prefiggerselo, si dimostra un formidabile innovatore tecnico.
Unico al mondo ad effettuare una sintesi di stabilità che gli permette di donare la grande Cattedrale nazionale catalana di ampie navate con doppia copertura senza ricorrere ai contrafforti e rendendo indipendenti i carichi di esse. Spesso gli operai stessi che eseguivano i suoi stratagemmi costruttivi non ne capivano le ragioni e avevano paura. Così, quando adottò delle mensole di mattoni aggreganti per sostenere le tribune d'angolo nella casa Vicens, un muratore avvertì il giovanissimo architetto che al momento di predisporre le tribune, le mensole non avrebbero retto. Gaudì lo rassicurò ma il muratore non si convinse e trascorse molte ore in attesa del crollo che ancora oggi non si è verificato.
Certo non sono mancate le accuse di architettura pop, arte astratta, ascendenze rinascimentali,e via dicendo. Ma, sposandola o avversandola, nessuno s'è mai potuto sottrarre al fascino dei suoi risultati "deliranti". Insomma gli si poteva essere ostile ma non ignorarlo.
Ragione e disciplina, passione e fantasia. Ecco i binari sui quali ha viaggiato Gaudì.
Autodidatta, aveva una preparazione enciclopedica. Per servire l'arte, sosteneva, bisogna conoscere il più possibile. E aggiungeva: "Sono in grado di pensare tutto quello che pensava San Tommaso; solo che io avrei bisogno di secoli interi". Modificava continuamente progetti e realizzazioni in corso d'opera. Disegnò la facciata di Palazzo Guell ben 28 volte. D'altronde ripeteva, Leonardo aveva impiegato due anni per La battaglia di Anghiari, quattro per Monna Lisa, sedici per il monumento equestre al duca Sforza.
Oggi la querelle su Gaudì per il processo di beatificazione divide gli estimatori.
La Barcellona laica e intellettuale degli scrittori, artisti, architetti che ne hanno sostenuto la rinascita dissente fortemente. Gaudì è un grande artista catalano, è l'obiezione; ma la sua opera è patrimonio dell'Europa, appartiene a tutti.
La Chiesa non ha diritto di appropriarsene. Ecco quindi aprirsi la polemica dell'ambiguo rapporto tra genio e follia, o tra follia e ascesi, o ascesi e santità che ha caratterizzato tanti visionari e irregolari della modernità: da Nietzsche a Artaud a Wittgenstein e oltre.
Antoni Gaudì morì per sbaglio, come muoiono i puri, investito da un tram mentre si avviava all'oratorio con la barba da eremita, i vestiti logori e nulla in tasca, tanto che sulle prime fu creduto un barbone. Nacque così, forse, la leggenda del santo costruttore.

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